Ho ritrovato un piccolo scritto appartenente a uno dei periodi più belli della mia vita. Quei ricordi che ti si infilano sotto la pelle e non vanno più via. Vivevamo in aperta campagna, in un casolare fatiscente senza riscaldamento, con uno scaldabagno che durava 3 minuti netti quando fuori (e dentro) faceva -3 gradi, un camino che non scaldava, internet più morto che vivo, e 5 cani per 4 esseri umani. Però era sempre festa e fuori c’erano solo stelle, animali e un orto che ci dava verdure in quantità. C’erano anche delle galline molto perspicaci che mangiavano avanzi, donando in cambio uova giganti.
Le ragazze dovevi sempre abbracciarle perché altrimenti andavano in ipotermia e i tramonti sminuivano lo scibile. E io… ero ancora alle prese con lavoro d’ufficio e posto fisso, strattonato tra sentimenti e società.
Quando il cane incontro’ l’istrice senza il minimo preavviso
“[…] Stamane. Sveglia presto per routinario schiavismo, temperatura polare tutt’intorno mentre emergo alquanto sudato dal favoloso mondo dei due piumini e una coperta di lana. Rovisto tra le cianfrusaccole in giro per camera e trovo felpa, jeans e anfibi per iniziare bene la giornata. Altro che la nutella della pubblicità, fighetti.
Insomma me ne scendo in giardino per mattiniera pisciata a pisello barzotto e saluto ai cagnastri quando mi accorgo che la più grande ha qualcosa che non va. Mmm. Ancora più che mezzo addormentato penso: è sporca? No. E’ scappata? No cazzone è davanti ai tuoi occhi. Si è tagliata i capelli? Fatta la tinta? No. Ha un nuovo piercing? N… Ehy, checcazzo è quella roba che ha sul naso?!
La stranamente troppo affettuosa femmina di cane aveva un aculeo di istrice conficcato accanto al naso. Un palo di 10 cm bianco e nero che la faceva sembrare simile a un maya. La guardo negli occhi e la accarezzo. Lei scodinzola e non sembra lamentarsi troppo per il dolore. Al che decido che è meglio per il dottore farsi un bel caffettozzo peso prima di operare. Opto per il beverone simil-americano di caffè -paccosolubile eurospin, aggiungo litrata di latte, riscendo in giardino. Sorseggio che manco fossi da Starbucks, appoggio il rimanente sul vaso con cadavere di quella che un tempo era una pianta.
“Vieni qui bella”.
La afferro per il muso, prendo con decisione l’aculeo, faccio per estrarlo. La cagna inizia a piangere e muoversi, l’aggeggio è conficcato molto in profondità, bisogna tirare forte e decisi. Altro sorso di caffè, da Starbucks però non ci sono i cani da salvare a tutti i costi. Riprovo, stavolta più convinto. Tiro forte e deciso, la cagnotta piange ancora, l’aculeo non si toglie. E io inizio anche a cacarmi un po’ sotto, perché il il cane è grosso, e sebbene lo conosca abbastanza, non è mica il mio. Decido di aspettare P. che si alzi, che è il padrone e le mani in bocca, se ce le mette lui è meglio. Finisco il caffè, tranquillizzo la cagnona e vado a vestirmi per quotidiano schiavismo. Infilo camicia e gilet, jeans e anfibi che smorzino un po’ l’artefatta serietà, vado in bagno a pensare che dovrei farmi la barba ma la vita è breve, troppo breve per radersi.
Sento casino di là, gli altri sono in piedi. Racimolo P. e gli spiego la situazione. Mi guarda come un clochard alcolizzato col gilet. Forse perché lo sono. Scendiamo. La cicciona si è nascosta nella stalla. La raggiungiamo. Io le tengo il muso e P. strappa l’aculeo. Al primo tentativo si rende conto anche lui di come è piantato in profondità e si prende male. Riproviamo. La cagna si dimena come una pazza ma non morde. P. riesce a cacciar fuori il maledetto ago. “Cazzo!” riusciamo a dire. Poi ci accorgiamo che l’aculeo è spezzato e non ha la punta, e che probabilmente è ancora conficcato dentro. Intanto la belva a pelo lungo gronda sangue da vicino al naso. Infatti, aprendole la bocca, troviamo la punta bella bella dentro la gengiva. Ci organizziamo per tenerla ferma e rimuovere anche questa. Io le tengo la bocca aperta e il labbro sollevato, e P. tira la scheggia. Non proprio la migliore soluzione per salvare le dita, in caso di morso fortuito, ma tant’è. Dopo vari tentativi sradichiamo la cazzo di spada nella roccia, neanche fossimo mago merlino e l’odioso bambino biondo.
La cagnazza butta sangue ovunque, ma è contenta di esser tornata senza piercing, si vede. Noi ci scambiamo improperi sugli istrici, contenti della prova chirurgo superata a pieni voti. Io corro a lavoro in ritardo e con la camicia sporca di sangue. Per la strada Billy Idol canta Dancing with Myself e io, per una volta, sono sveglio prima del terzo caffè.”