Si prova che ti svegli, presto una volta tanto, e dopo l’abituale minzione di fisiologica necessità, butti un’occhiata al cellulare. Ovviamente, vivendo in un luogo dove vige un diverso fuso orario dal tuo paese d’origine, la modalità aeroplano è d’obbligo per riuscire a dormire la notte e non essere svegliato da 30 messaggi di whatsapp e 300 notifiche dei social. Quindi premi assonnato il pallino con l’aeroplanino che magicamente fa ritornare il cellulare in comunicazione con il mondo. E prima ancora che le notifiche push facciano in tempo a spuntare entri su fb, in barba a chi predica che la meditazione sarebbe la prima cosa su cui concentrarsi la mattina, per assicurarsi una mente equilibrata.
La schermata blu appare, e come prima cosa noti che alcuni tuoi amici si sono “marked safe during an emergency”, che in pratica dovrebbe voler dire che han detto a Facebook di star bene in seguito ad un’emergenza. Con tanto, troppo sonno in testa, noti che molti di questi sono italiani. Poi noti che invece sono tutti Italiani. Poi che sono tutti della tua zona. A questo punto il sonno svanisce completamente e pensi: ”terremoto”. Guardi l’ora e consideri il fuso orario: in Italia è piena notte. Pensi alla famiglia. Agli amici. Alle persone in generale, tutte. Poi punti il browser su un sito di notizie. Uno qualsiasi non ha importanza, carica, muoviti, sbaraglia i cookies, uccidi i banner. Dimmi che è successo e quando. Gli articoli confermano l’ipotesi del terremoto, e l’epicentro è vicino alla tua città, Macerata. Dannatamente vicino. Famiglia. Amici. Persone. L’articolo dice che non ci sono morti e questo ti consola forse sì e forse no, perché le notizie iniziali non sono mai attendibili e lo sai bene. A questo punto hai una vaga idea di quel che è successo, prendi il telefono, inspiri, espiri, ripeti e mandi un messaggio a tuo padre. Niente convenevoli, né cordialità, ma praticità assoluta sintetizzata in approccio minimalista: “Tutto a posto?”
E’ notte fonda intorno a tuo padre che ti risponde:”tutto ok” e pian piano ricominci a respirare, mentre ti accorgi di esserti mangiato unghie e dita, piaga mai plagiata di quando sei nervoso. E ti fai spiegare quel che è successo. E la tua città è più o meno integra. E sei contento che in fondo non sia accaduto nulla ai tuoi cari. E sei atterrito perché non eri lì a prenderti cura di loro. E giuri che il dono dell’ubiquità è la prima cosa che comprerai con la prossima tredicesima. E sei di nuovo triste perché la tredicesima non la prendi mica.
Ecco cosa si prova a vivere all’estero quando qualcosa di brutto capita nella tua zona e te non sei lì a viverla e ad aiutare. Un po’ malinconico, un po’ inutile, un po’ contento che non sia successo ai tuoi cari, un po’ spaventato per il futuro.
Lontano ma sempre con voi.